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24/3/2015 - Repubblica Ceca - L’impegno di don Benno Benes per la riconciliazione
Foto dell'articolo -REPUBBLICA CECA – L’IMPEGNO DI DON BENNO BENES PER LA RICONCILIAZIONE
Fotografia disponibile in Image Bank

(ANS – Teplice) – Don Benno Benes, SDB, è stato recentemente premiato con la “Colomba d’Oro per la Pace”, in riconoscimento al suo lavoro per i Diritti Umani e in particolare per la promozione del dialogo ceco-tedesco, in una regione, quella del Nord della Boemia, che dopo la Seconda Guerra Mondiale ha visto l’espulsione della comunità tedesca da parte delle autorità dell’allora Cecoslovacchia e il ripopolamento forzato con ex-carcerati, comunisti, cercatori di fortuna... Di seguito riportiamo un’intervista al premiato.

Qual è il suo legame con le terre di frontiera della Boemia del Nord?

Sono nato vicino a Osek, i miei genitori erano originari della diocesi di Litomerice (Leitmeritz, in tedesco). Per tanti anni ho vissuto a Praga, da dove nel 2003 l’allora Ispettore don Jan Komarek, mi mandò a Teplice, dove sto fino ad oggi.

Che ricordi ha dei tempi successivi alla Seconda Guerra Mondiale?

Uno porta con sé il pensiero che qui avvenivano tanti peccati – durante il nazismo, ma anche dopo la guerra. Mi domando come sarebbe possibile rifare tutto quello che è successo. Anche nella mia famiglia abbiamo sperimentato tutte queste vicende: una parte della mia famiglia ha dovuto lasciare le case e i campi e andarsene in Germania. Ma non mi sono mai rassegnato a questa “pulizia etnica”.

Lei si sente più Tedesco o più Boemo?

Mio papà diceva: “Boemo o Tedesco, è un discorso che vale per un gatto. Diventa un buon uomo!” (…) Questo mi piace, essere legato alla terra natale e non distinguere sempre le nazioni secondo il principio della lingua.

Come sono oggi i rapporti tedesco-boemi?

Dipende. Ci sono uomini che si sforzano per la riconciliazione. Però la generazione odierna che vive qui non conosce più il tedesco. E se non conosco la lingua, non posso entrare in un rapporto vero. Inoltre, i fatti degli anni dopo la guerra agli occhi delle nuove generazioni appaiono come una guerra del 1620.

Non è stato facile per noi che siamo rimasti. Da un giorno all’altro è arrivata tutta gente priva di morale. L’unica cosa che ci teneva insieme era la Chiesa, la comunione con la Chiesa. Quando nella diocesi di Litomerice arrivò il vescovo Stepan Trochta, SDB, con i suoi salesiani, la nostra vita migliorò, non solo dal punto di vista spirituale. Era arrivato un uomo che era stato nei campi di concentramento dei nazisti e dopo anche negli stessi campi dei comunisti. Lui era l’autorità, in questo caso proveniente dalla Chiesa, grazie a cui uno poteva dire: ‘qui sono di nuovo a casa mia, sebbene non è più come era prima’. (…)

Oggi possiamo costruire qualcosa di nuovo, un nuovo futuro.

Pubblicato il 24/03/2015

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