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12/2/2015 - Sierra Leone - “Sentiamoci corresponsabili”: il post Ebola
Foto dell'articolo -SIERRA LEONE – “SENTIAMOCI CORRESPONSABILI”: IL POST EBOLA

(ANS – Freetown)– “Orfani dell’Ebola in Africa: conoscere il lavoro sacrificato dei Salesiani” è il titolo dell’articolo di Blanca Ruiz pubblicato dal'agenzia “Aciprensa”, nel quale don Jorge Crisafulli, Superiore dei Salesiani nell’Africa Occidentale Anglofona, racconta a che punto sono i Salesiani e i giovani che si occupano del centro per gli orfani...

“Il governo della Sierra Leone ci conosceva già per il lavoro che facciamo con i bambini soldato e ha chiesto il nostro aiuto anche in questa situazione. Pensavamo si sarebbe trattato di circa 30 o 40 bambini, ma dopo il primo mese ci siamo resi conto che i numeri erano molto più grandi. Ora abbiamo un rifugio per 120 orfani dell’Ebola”spiega don Crisafulli.

Con l’aiuto di organizzazioni straniere come “Manos Unidas”, i Salesiani della Sierra Leone hanno trasformato una scuola in un orfanotrofio molto particolare. Perché trattandosi di bambini che sono stati a contatto con persone infettate dall’Ebola, le precauzioni e l’igiene sono estremamente rigorose, dato che un errore o una disattenzione possono essere fatali.

“Ogni bambino ha una sua maniglia per aprire l’acqua della sua doccia, in modo che nessuno tocchi nulla già toccato. Lavoriamo con i bambini che arrivano qui con un certificato di ‘Ebola Free’, cioè che non sono infettati; ma dobbiamo seguire comunque un rigido protocollo, perché un singolo errore può contagiarti” spiega l’Ispettore.

Alcuni di questi certificati – a quanto precisa il salesiano – sono falsi. Così tutti i bambini che giungono al rifugio dei Salesiani vengono sottoposti ad un periodo di quarantena nella cosiddetta “Zona A”: una tenda in cui i ragazzi sono isolati dal resto, che può ospitare 60 persone, sui 120 totali del centro.

Spiega don Crisafulli: “dato che il virus ha un periodo di incubazione di 21 giorni, a volte si pensa che non si è ancora infetti, ma magari semplicemente i sintomi non si sono ancora rivelati. Tutti i ragazzi che vengono da noi, da qualsiasi paese arrivino, passano questo periodo di quarantena, assistiti dagli infermieri che sono sopravvissuti al virus (...). Ci sono misurazione della temperatura ogni tre ore nella zona A, per tutti i 21 giorni in cui i ragazzi sono lì, per registrare sin dal primo momento qualsiasi cambiamento avvenga”.

I ragazzi che arrivano al centro dei Salesiani sono soli, perché l’Ebola gli ha tolto tutto. Genitori, fratelli e sorelle sono morti a causa del virus, ma l’obiettivo dei Salesiani è di reintegrarli nella loro famiglie estese, come zii o nonni, affinché si prendano cura di loro. “Abbiamo assistenti sociali e volontari della Sierra Leone che quando un bambino viene da noi e viene comprovato che è sano, vanno nel suo villaggio di origine per trovare qualcuno della sua famiglia estesa, affinché poi possa tornare con loro”.

Ma questo non è sempre possibile o perché nessuno è rimasto vivo o perché le loro famiglie non vogliono prendersi cura del bambino. “Uno dei gravi problemi di cui ci siamo accorti recentemente è che a volte la famiglia estesa non li vuole, perché vogliono tenersi le terre dei loro genitori morti, che appartengono al bambino superstite. Così li rifiutano, dicono che è una strega o uno stregone e che per colpa sua la sua famiglia è morta, così da tenersi le terre del ragazzo. È per questo che abbiamo assunto alcuni avvocati che si prendano cura di questi problemi, affinché questi bambini abbiano un futuro”.

Don Crisafulli conclude parlando delle “famiglie sostitute” che accolgono i bambini; della loro formazione presso il centro, attraverso la musica, il ballo e i giochi, per distrarli dalla loro situazione; e dell’avvio delle attività agricole, che serve a responsabilizzarli. Avverte infine della necessità di “lavorare insieme contro le radici della povertà, che sono l’ignoranza, la mancanza di educazione, la corruzione. Apriamo gli occhi e le orecchie. Sentiamoci corresponsabili”.

Pubblicato il 12/02/2015

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