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16/10/2009 - Italia - Secondo Sinodo Africano: l’intervento di Mons. Jean-Pierre Tafunga, SDB
(ANS – Roma) – Nella maggior parte delle culture africane il male viene concepito come la conseguenza ad una trasgressione di ciò che è prestabilito, che si tratti di precetti divini, che esigono obbedienza incondizionata e sottomissione, oppure di una legge sociale, stabilita da un’autorità governativa, o ancora di proibizioni e prescrizioni rituali. Ogni gesto che rovina o distrugge la vita, ogni comportamento che rompe l’unità, l’ordine o l’armonia delle cose è visto come qualcosa di male.

A secondo della colpa commessa il responsabile è chiamato ad ammettere in tutta sincerità il male compiuto. Quest’ammissione di solito si fa davanti ad un’autorità, al garante dell’ordine sociale, o uno sciamano. In alcuni casi la confessione della colpa si fa al cospetto di tutta la comunità. La persona accusata è, quindi, chiamata a manifestare pubblicamente la sua intenzione di riparare al danno che ha causato.

Chi ha commesso una colpa è obbligato al risarcimento, e, in caso d’impossibilità,   provvederà la sua famiglia. Il risarcimento si compie pagando le sanzioni previste, i danni e gli interessi. A seconda della cultura le sanzioni consistono nell’offrire un animale vivo o il frutto della caccia.

Chi ha subito l’offesa può anche accordare il perdono a l’offensore. Il processo di riparazione termina nel momento in cui la persona che ha danneggiato è perdonata e la riparazione ormai compiuta. Il momento fondamentale del risarcimento è la cerimonia del perdono. Per paura del castigo (morte istantanea, brutale, inaspettata…) che potrebbe venire direttamente da Dio, o da uno stregone, il trasgressore deve compiere il rito di riconciliazione, per migliorare la propria condotta e ottenere il perdono. Il rito ha luogo in un ambiente sacro, al cospetto della comunità e dell’officiante (uno stregone) che presiede la cerimonia.

Le formule della confessione, i gesti rituali del penitente, le punizioni corporali, i materiali e gli oggetti utilizzati, col loro simbolismo, come anche le formule pronunciate dall’officiante per purificare il penitente, variano da tribù a tribù.

La confessione è sempre seguita da consigli ed ammonimenti per guidare alla conversione definitiva. Possiamo rendere conto di alcuni riti concreti: la cerimonia rituale della benedizione e del gran perdono; il banchetto festivo e comunitario, simbolo d’allegria per essere riusciti a recuperare la condizione positiva precedente la rottura, e per aver riconciliato i membri della comunità; il pagamento di una retribuzione all’officiante; il rito di soddisfazione dei feticci vendicatori o degli spiriti, nel caso di una maledizione.
 
Pubblicato il 16/10/2009

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