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24/2/2011 - Lettera di mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi
Foto Service-LETTERA DI MONS. MAROUN LAHHAM, ARCIVESCOVO DI TUNISI
Lettera di mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi, pubblicata ieri 23 febbraio in memoria di don Marek Rybinski, ucciso a Manouba venerdì 18 febbraio.

Carissime e carissime,
non cessiamo di vivere avvenimenti (lascio al parola senza aggettivo). Ora è don Marek, salesiano di 34 anni, in Tunisia dal 2007, sgozzato in un deposito della scuola dei salesiani di Manouba.

Il Ministero degli Interni ha diffuso un comunicato secondo il quale l’assassino è il falegname della scuola. I padri salesiani affermano che l’assassino aveva chiesto in prestito, nello scorso Eid (tre mesi fa) 2.000 dinari tunisini per acquistare del materiale per il proprio lavoro. Sembra che abbia speso il denaro per altre cose, il fornitore si rifiutava di consegnargli il materiale non pagato e don Marek insisteva per avere indietro il denaro della scuola. Preso dal panico, e temendo di essere scoperto, asserisce il comunicato del Ministero degli Interni, “l`assassino ha sorpreso il sacerdote colpendolo ripetutamente con violenza con un oggetto contundente sulla nuca e sul collo, provocandone il decesso. L`assassinio è stato commesso per paura di essere scoperto”.
Non appena le formalità giuridiche saranno state espletate, celebreremo una grande messa nella Cattedrale, prima di rimpatriarlo in Polonia. Il giorno e l’ora della cerimonia verranno pubblicati.

Che dire? Orrore, tristezza, indignazione, rivolta, preoccupazione, paura, dubbio… tutto è mescolato. Perché don Marek è stato ucciso? Per duemila dinari! Si osa appena crederlo. Vi sono certamente dei dettagli che non conosco. Al contrario, ci sono delle cose che so:

- So che don Marek aveva scritto, due settimane prima del suo assassinio, a proposito del popolo tunisino: “è una nazione giovane, intelligente, incapace di violenza (sic!), profondamente buona che non è capace di odiare”.

- So che aveva appena scritto il suo primo libro sulla Tunisia, nel quale dice tra l’altro: “durante il soggiorno in Tunisia, il mio atteggiamento verso i miei fratelli musulmani è molto cambiato. Questa paura del terrorismo e dell’estremismo è completamente scomparsa. I Tunisini sono così accoglienti, amichevoli e cordiali. Mi insegnano questo atteggiamento”.

- So che si era proposto volontario per venire in Tunisia quattro anni fa, quando era stato da poco ordinato sacerdote.

- So che aveva chiesto del denaro ovunque per creare dei nuovi locali per la scuola che amava molto e di cui era economo.

Immagino di stare di fronte al suo assassino per porgli alcune domande: perché hai ucciso, veramente, don Marek? E perché in questo modo barbaro? La sua giovane età e la sua innocenza non ti hanno ispirato nessun sentimento di pietà? Né il suo fisico gracile? L’hai ucciso a colpi di martello, non era sufficiente? Era veramente necessario sgozzarlo e lasciarlo giacere nel suo sangue? Come hai potuto dormire dopo averlo fatto? Di che pasta sei fatto? Che religione professi? Sei di quelli che credono nel Dio compassionevole e misericordioso (Al Rahman Al Rahim?) Come fai convivere il tuo crimine con la tua fede?

Rispondi a queste domande, tranquillizzaci, tranquillizza il nostro cuore di padre e di fratelli... Poi, ti prometto il perdono. Dovrai prima chiederlo a Dio, e poi avrai quello della Chiesa cattolica di Tunisia.

“Se il seme caduto a terra non muore...”. È caduto, è morto, e seguendo l’esempio di Cristo, a cui don Marek si era consacrato, ha portato frutto. Tutti i messaggi di solidarietà, tutte le scene di partecipazione, i fiori deposti sulla porta della Cattedrale, i tunisini e le tunisine che hanno manifestato davanti alla Cattedrale con gli slogan “Marek, perdono!”,  i giovani tunisini venuti alla Cattedrale domenica 20 con dei fiori, le lacrime agli occhi... “Non l’abbiamo ucciso, dicevano, questa non è la Tunisia... Perdonateci!”; e sono andati via abbracciando le suore.

Le reazioni ufficiali sono dello stesso tenore, il Primo Ministro, il Ministero degli Interni, degli Esteri, del Lavoro, dell’Istruzione, degli Affari religiosi, del Turismo; gli ambasciatori arabi e stranieri, anche il partito islamico Al Nahda.... C’era bisogno dell’assassinio di un sacerdote per renderci conto di tutta questa partecipazione e di questo affetto? Il prezzo è molto alto. Apprezziamo enormemente tutti questi gesti di amicizia, ma essi non valgono una goccia del sangue del nostro Marek.

E adesso? Ebbene, andiamo avanti. Non è il momento del panico, è quello della fede, della pazienza, della precauzione. Andarsene? Non se ne parla, i tempi difficili non sono tempi di fuga. Lo dico innanzi tutto a mio nome, e penso di poterlo dire a nome di tutto il personale religioso della Chiesa di Tunisia e in nome dei cristiani presenti nel Paese. Lo dico anche per i nostri fratelli musulmani ed ebrei. Noi restiamo in questo Paese che ci accoglie, che ci ama e che noi amiamo. Restiamo anche per voi, perché vogliamo arricchirci con la vostra presenza e la vostra differenza, e vi proponiamo anche i valori nei quali crediamo e che cerchiamo di vivere malgrado le nostre debolezze, dei valori che vi possono offrire un supplemento di fede, di speranza e di fiducia.

La vita è più forte della morte, l’AMORE anche.

+ Maroun Lahham, Arcivescovo

Traduzione a cura della Redazione (originale in francese).

Pubblicato il 24/02/2011

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