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28/9/2009 - Ghana – La “Zongo terapia”
Foto Service-GHANA – LA “ZONGO TERAPIA”
(ANS – Sunyani) - Sunyani non è una metropoli, sessantamila abitanti nel centro urbano che arrivano a centomila con la periferia. Ma è al centro del Ghana e questo la rende un importante crocevia, con un volume alto di immigrazione/emigrazione. Chi arriva dal nord il più delle volte ha ereditato dalla sua terra, sempre più savana dove prima era foresta e sempre più deserto dove prima era savana, l’allenamento duro della povertà, dell’imparare a vivere con il minimo del minimo. E quando arriva a Sunyani senza avere niente nel bagaglio, tranne un’assuefazione alla sopravvivenza si adatta a qualunque condizione di vita.

Ed è così che anche Sunyani ha il suo slum. Non ci sono certo i numeri di Rio de Janeiro o di Nairobi, ma le condizioni di vita sono simili a quelle che padre Zanotelli descrive quando racconta di Korogocho.

A Sunyani si chiama “Zongo”. É una zona tra il vecchio mercato cittadino e il “Wednesday market”, il mercato regionale che ricorre appunto ogni mercoledì. É stata da chissà quando la discarica di entrambi. Su quelle colline di rifiuti cresce Zongo.
Cresce perché ovviamente non ci sono piani regolatori per sistemazioni di fortuna di persone che non sono originarie del posto, e che si adattano a qualunque cosa perché già in fuga da condizioni ancora più precarie di quelle che trovano qui.

La maggioranza è di origine mussulmana e islamico è lo stile di vita sociale, religiosa, scolare che si respira in Zongo.

A un paio di chilometri di distanza c’è il “Don Bosco Boys Home”. A Sunyani non ci sono folle di ragazzi di strada braccati dalla polizia, ma ci sono tanti ragazzi lasciati soli, specchio di famiglie in difficoltà o semplicemente inesistenti. “Boys Home” è la loro casa, dove una trentina di loro, a volte più altre meno, vivono permanentemente; molti altri vi fanno riferimento per i problemi di scuola, salute e soprattutto perché hanno un disperato bisogno di qualcuno che sia loro amico, che si prenda cura, che li consideri come persone, come figli.

Sono stati loro, i ragazzi, che come una calamita hanno attirato i salesiani verso Zongo. Già due anni fa una giovane volontaria della Polonia che ha vissuto due anni alla “Boys Home”, sensibile ai più poveri tra i suoi ragazzi, ha cominciato a frequentare Zongo e a metter su una specie di oratorio volante là dove la discarica consentiva di ritagliare qualche decina di metri quadrati di campetto per trovarsi, giocare, stare insieme.

Quest’estate si è tentato un passo più coraggioso. Sono stati contattati per tempo l’Iman e gli altri anziani, quali punti di riferimento di quelle comunità di immigrati, la cui provenienza è variegata per tribù di origine e lingue, accomunata dal reddito zero. Si è parlato loro dell’estate ragazzi, della “holiday camp”, e la reazione non è stata soltanto positiva, ma entusiasta.
Così anziché orientare ed accogliere i ragazzi di Zongo alla “Boys Home” si è portata l’estate ragazzi al centro del loro luogo abitato; i ragazzi di Odumase, Adentia e della stessa “Boys Home” hanno fatto contemporaneamente le loro attività estive coinvolgendo in totale oltre 1500 persone.

La piccolissima scuola elementare messa a disposizione straripava ogni giorno di più perché era impossibile stare al “numero chiuso” che l’Iman e gli anziani avevano preventivato.
Fuori dalla scuola, al campetto che la volontaria aveva trovato due anni fa, si è aggiunto qualche metro coprendo i rifiuti con la segatura che le segherie del mercato del legno ‘discaricano’ a Zongo. Gli ingredienti sono quelli di ogni estate ragazzi qui in Ghana: stare insieme in amicizia, con momenti di animazione e gioco e lezioni di recupero, soprattutto d’inglese e matematica che sono le due “bestie nere” degli studenti di ogni grado, momenti formativi e di preghiera.

La preghiera era guidata a turno dai ragazzi stessi e partiva i primi giorni con la classica prima “Sura” del Corano che apre ogni preghiera mussulmana, seguita da altri versi cantati che si imparano fin da bambini. Quando i ragazzi hanno scoperto che tra di loro c’era anche uno sparuto gruppo di cristiani allora tutti hanno accettato di imparare il Padre Nostro: il Corano e il Padre Nostro sono andati a braccetto all’inizio e alla fine di ogni giornata.

Durante il momento formativo animatori e ragazzi hanno condiviso le storie ascoltate dagli anziani della comunità.

Una delle giornate più importanti è stata la gita, con il camion della falegnameria e tutti i pick-up e pulmini disponibili i ragazzi della “Don Bosco Boys Home” e della “Zongo Holiday Camp” sono stati portati alla “Don Bosco Technical Institute” di Odumase. Qui Moses e John Bosco, due novizi salesiani della Nigeria, hanno organizzato le olimpiadi.

Per i ragazzi avere un intero campo sportivo a loro disposizione è stato come vivere un sogno. Le ragazze col loro velo tutto attorno al viso hanno continuato a fare di corsa il percorso dei cento metri decine di volte anche a termine delle gare. A Zongo non ci sono dieci metri in cui si può correre liberamente perché la discarica non permette tali spazi, ci sono solo piccoli sentieri tortuosi dove fare lo slalom tra cocci di vetro e fili di ferro. 

L’esperienza della “Holiday Camp” ha lasciato, come eredità, la voglia di conoscersi in modo nuovo. La variopinta ed emarginata comunità mussulmana di Zongo ha incontrato cristiani a cui poter affidare i loro figli, quanto di più prezioso hanno, in un clima di fiducia e apertura, senza zavorre di estremismo, fanatismo e intolleranza con cui spesso si dipinge chiunque ha a che fare con l’Islam. Generalizzazioni e pregiudizi che impediscono una corretta conoscenza di una civiltà, tradizione e religione che ha 14 secoli di storia e che è diversificata come la realtà cristiana.

Per chi ha contribuito all’animazione della “Zongo Holiday Camp” è stata una esperienza molto formativa, a contatto con i più poveri, durante la quale si è conosciuti Alima, Alhassan, Silifatu... si sono incontrati volti, nomi, storie di vita a cui voler bene, vincendo pregiudizi e barriere appesantite e irrigidite dalle diverse appartenenze etniche.

Ciò che resta, soprattutto, è un seme nuovo di speranza nel cuore di ciascuno. Una terapia vincente in qualunque situazione di conflitto, di ghetto, di distanza tra gruppi; una terapia che parte dall’incontrare l’altro come persona umana. Don Bosco lo aveva capito alla perfezione: cominciare dai ragazzi.

Questa è la caratteristica della missione salesiana.

Pubblicato il 28/09/2009

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