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26/10/2012 - RMG - I due Sudan: l’esperienza di don Ferrington
Foto dell'articolo -RMG – I DUE SUDAN: L’ESPERIENZA DI DON FERRINGTON

(ANS – Roma) – A margine dell’XI Conferenza delle Ispettorie e Visitatorie dell’Africa-Madagascar (CIVAM), svoltasi a Roma dal 16 al 20 ottobre, don Poobalarayen Ferrington, Delegato dell’Ispettoria Africa Est per il Sudan e il Sud Sudan, ha raccontato ad ANS la realtà attuale nei due paesi.

In che clima crescono oggi i giovani del Sud Sudan? Ci sono maggiori problemi o opportunità rispetto a prima dell’indipendenza?

Dobbiamo considerare due aspetti. Il primo è che moralmente adesso c’è un ambiente favorevole per la crescita dei giovani. C’è libertà nell’aria, prima gli abitanti del Sudan del sud erano cittadini emarginati, perché cristiani africani, sotto il governo di Karthoum, arabo-islamista. Adesso il Sud Sudan è un paese indipendente, una Repubblica e c’è la libertà di come gestire e governare il paese.

Il secondo aspetto è che le opportunità non ci sono. Andando via il governo del nord ha portato con sé anche tutti gli strumenti e gli artefici della vita sociale e culturale. Infrastrutture, scuole, università formalmente ci sono, ma sono quasi sempre chiuse. Il paese è come un bimbo, sta imparando a camminare. E poi tutto è concentrato nella capitale, Juba. Fuori non c’è nulla, non c’è elettricità, a volte nemmeno le case, dato che molti sono profughi venuti dal nord.

La situazione di conflitto lungo il confine tra i due stati è risolta?

Negli ultimi due mesi non ci sono stati più scontri particolari per il controllo dei pozzi petroliferi di cui è ricca la zona; questo perché i capi, sia del Sudan che del Sud Sudan, stanno facendo degli accordi in Etiopia, per trovare una soluzione a vantaggio di tutti e due i popoli. Ci sono però ancora dei bombardamenti aerei nella parte meridionale del Sudan, proprio vicino alla frontiera, nelle regioni dei Monti Nuba e del Nilo Azzurro, perché la gente di quei territori vorrebbe far parte del Sud Sudan, dato che culturalmente ci sono più affinità. Qui ci sono le azioni di alcuni ribelli che provocano, il governo che risponde con le bombe… ma le vittime sono i bambini, le donne, i più vulnerabili.

Quali opere hanno i salesiani nei due paesi?

Ci sono 7 comunità in tutto, 4 nel sud e 3 nel nord. Nel Sud Sudan ogni opera ha una parrocchia; poi abbiamo anche scuole primarie, 2 scuole secondarie, un dispensario medico e una radio che ci permette di raggiungere la gente nei villaggi più lontani, nei quali ci sono anche delle piccole scuole locali, circa 15-20. In Sudan invece abbiamo una parrocchia a Karthoum, che si occupa dei cristiani che vivono da rifugiati a causa del conflitto, un centro di professionalizzazione per giovani con precedenti penali e delle scuole tecniche-professionali; il 95% dei nostri studenti è di religione islamica.

Nei due paesi operano i missionari di molte congregazioni religiose. Esistono forme di collaborazione e lavoro in rete?

Nel Sudan del Sud, durante la guerra eravamo rimasti in 4-5 gruppi; adesso, tutto compreso, ordini maschili e femminili, siamo una quindicina di comunità. È impressionate la sinergia che viviamo! A qualsiasi incontro delle diocesi, o organizzato da qualche gruppo, ci si confronta, si scambiano le esperienze, i progetti di apostolato... ci sono una grande unità e solidarietà tra di noi, sia tra quelli del Sudan e sia del Sud Sudan. E c’è una sola ragione: noi facciamo parte di questa gente, lavoriamo per loro. Ciò che unisce loro, la povertà, la miseria, la sofferenza, unisce anche noi! È una cosa impressionante, che non ho visto né in Tanzania, né in Kenya. Nei Sudan, invece, siamo pochi e questo è il denominatore comune. Condividiamo angosce, ma anche aiuti pratici di fronte alle difficoltà, dal punto di vista economico o magari per i visti.

Pubblicato il 26/10/2012 

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