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17/9/2012 - RMG - Intervista ai nuovi missionari: don Tulimelli e il valore della testimonianza
Foto dell'articolo -RMG – INTERVISTA AI NUOVI MISSIONARI: DON TULIMELLI E IL VALORE DELLA TESTIMONIANZA
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(ANS – Roma) – Mentre proseguono le dinamiche e i laboratori del corso di orientamento per i nuovi missionari, dalle interviste emergono storie sempre nuove e interessanti. Oggi a parlare è don David Tulimelli, indiano convertitosi al cattolicesimo, già ordinato sacerdote e con alle spalle 6 anni di missione in Sudan, paese nel quale tornerà al termine del corso.
 
Prima di diventare cristiano eri di religione indù. È stato difficile scoprire la chiamata a diventare cattolico e poi sacerdote?
In verità non molto, perché i miei genitori erano già diventati cattolici, prima di me; adesso tutti in famiglia siamo cattolici, fratelli compresi. È stato un po’ più difficile, invece, iniziare il cammino per il sacerdozio. Incontrai i salesiani per la prima volta quando facevo la scuola elementare a Nuzvid, nell’Andra Pradesh, perché amministravano il seminario diocesano regionale che stava lì di fronte. Gli dissi che volevo diventare prete e mi dissero che mi avrebbero accompagnato e seguito per un po’ di tempo. Lo fecero per quasi 2 anni, poi mi proposero di vagliare la mia vocazione nel loro aspirantato.

Hai già passato 6 anni come missionario in Sudan. Nella tua esperienza quali sono le qualità più necessarie?
Appena giunsi in Sudan, la prima cosa che mi disse don Ernesto de Gasperi, un missionario salesiano lì presente, fu: “Accetta tutti quanti e non giudicare nessuno”. E prima ancora  di partire, mentre ero in attesa del visto per il Sudan, rincontrai di nuovo il primo salesiano che conobbi, don Johann Lens, mio padre spirituale nelle fasi di discernimento vocazionale. Ebbene in quell’occasione gli chiesi dei consigli su come essere un buon missionario e lui mi disse tre cose: “Pensa bene di tutti, parla bene di tutti, fai il bene a tutti”. Questo è diventato il mio motto.

E poi un’altra cosa importantissima è la presenza. Stare tra la gente li farà felici; è una cosa che ho imparato dall’esperienza. Quando stavo lì in Sudan c’erano tanti problemi, le persone venivano chiederti molte cose, non avevano cibo… ma la sola presenza lì tra loro di un salesiano missionario, li tranquillizzava e gli dava gioia. 

A cosa ti serve questo corso di orientamento?
Ne ho sentito io la necessità, perché quando sono andato dall’India in Sudan non avevo questa opportunità di aprirmi alle culture. In Sudan lavorano persone di molti paesi e io non avevo una adeguata preparazione a incontrare diverse mentalità. Ma dopo questo corso io penserò in maniera diversa; per esempio prima credevo che l’inglese fosse una lingua superiore, ma qui al corso ho incontrato così tante lingue! Quindi mi sta rendendo molto più aperto alle altre culture.

Perché ti sei offerto di andare in missione “ad gentes” anziché svolgere il tuo ministero tra i giovani indiani?
È una domanda che mi sono posto anch’io già nel 2000. Non è stata una decisione che ho preso semplicemente. Ma guardando don Lens, che era venuto dal Belgio ed era missionario da 60 anni, pensavo che volevo essere come lui. Una volta chiesi anche a lui perché avevo deciso di essere un missionario e mi disse: “Sono stato inviato”. E mi toccò il cuore.

Pubblicato il 17/09/2012

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