India – Don Bosco torna a visitare i carcerati |
RMG - San Giuseppe Cafasso, secondo centenario della nascita |
“Il capolavoro dell’azione formativa di san Giuseppe Cafasso è stato Don Bosco”. Così don Giuseppe Tuninetti, docente di Storia della Chiesa contemporanea presso la Sezione Torinese della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, ha sintetizzato l’azione del sacerdote sabaudo, noto come confessore dei condannati a morte.
Il salesiano don Domenico Ricca, cappellano alle carceri minorili di Torino ha ricordato il legame tra i due santi torinesi nati, entrambi a Castelnuovo: Giuseppe Cafasso nel 1811, Giovanni Bosco nel 1815. All’epoca il paese si trovava assegnato alla diocesi di Asti, ma nel 1817 passò all’arcidiocesi di Torino: in tempo per far sì che i giovani Cafasso e Bosco entrassero nel seminario della vicina Chieri. “La storia di quei due uomini sarebbe stata diversa, e diverso un pezzo importante della storia della Chiesa” ha commentato don Tuninetti “se la loro destinazione fosse stata il seminario di Asti”.
A Torino don Cafasso diventò direttore del convitto di San Francesco d’Assisi, deputato all’accoglienza dei candidati al sacerdozio provenienti dalla campagna. Qui Don Bosco fece le prime esperienze di accoglienza e cura dei ragazzi, fino a comprendere che la sua vocazione sarebbe stata quella di accoglierli in una struttura nuova e più aperta: Valdocco. Don Cafasso gli rimase vicino in questo percorso, assicurandogli la direzione spirituale e anche un sostegno materiale alle iniziative.
Nonostante la piccola differenza d’età, tra i due si creò un rapporto quasi tra padre e figlio che si manterrà per 25 anni. Ha sottolineato don Tuninetti: “Entrambi cercano il progetto di Dio, sono in ascolto dello Spirito Santo, e manifestano un modello di rapporto corretto fra direttore e figlio spirituale. Don Bosco si affida al Cafasso, e questi è attento ad valorizzare le sue intuizioni”.
Il giovane sacerdote seguì quello più anziano nelle opere di misericordia: san Cafasso completava le sue lezioni ai seminaristi con la visita ai malati, ai poveri, ai carcerati, ed è in questo modo che don Bosco conobbe i risvolti più drammatici della società torinese. Ma fu proprio dopo aver toccato con mano le conseguenze estreme dei percorsi di smarrimento, che Don Bosco scelse di dedicare tutte le sue energie nell’azione preventiva, fondando quella pedagogia preveniente che ispirerà le sue opere. “L’idea degli oratori nacque dalla visita dei giovani nelle carceri”. Era il 1841.
San Cafasso perseguì anche la sua azione formativa dei preti torinesi: alla sua cura si deve anche la crescita di don Giuseppe Allamano, rettore del santuario e fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, anche lui nato a Castelnuovo.
Nel tempo libero continuava a dedicarsi ai poveri: 3 giorni alla settimana andava a visitare, dal pomeriggio a notte fonda, gli ospiti delle cinque carceri torinesi del tempo, cercando di portarli a scoprire la loro dignità, compromessa dal reato compiuto ma anche dalle condizioni di detenzione. Un’azione pastorale che lo portava ad essere l’ultima persona con la quale i condannati alla forca si confidavano, e alla quale chiedevano di intercedere per il perdono di Dio.
Don Cafasso e Don Bosco si troveranno a condividere anche le sofferenze: nel 1860 subirono le perquisizioni della polizia, convinta stessero complottando con il vescovo in esilio, mons. Franzoni, contro i progetti di riunire l’Italia. Fu l’ultima vicenda a vederli uniti: dopo pochi giorni don Cafasso morì, complice la sofferenza per questo episodio increscioso.
Pubblicato il 27/06/2011