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16/8/2012 - Italia - Pedagogia della Bontà: l’omelia del Rettor Maggiore
Foto dell'articolo -ITALIA – PEDAGOGIA DELLA BONTÀ: L’OMELIA DEL RETTOR MAGGIORE

(ANS – Colle Don Bosco) – Anche quest’anno, il Rettor Maggiore si è recato al Colle Don Bosco per presiedere l’eucarestia lì dove nacque il piccolo Giovanni Melchiorre divenuto per tutti: Don Bosco. La celebrazione ha segnato ufficialmente il passaggio dal primo al secondo anno di preparazione al bicentenario della sua nascita; dal primo tema (la conoscenza della sua storia) al secondo: la conoscenza della sua pedagogia. L’omelia offre interessanti spunti per la riflessione e l’azione dell’educatore salesiano.

“Dopo esserci impegnati l’anno scorso a conoscerlo più profondamente, ad amarlo più intensamente e ad imitarlo più fedelmente nella sua assoluta consegna a Dio e nella sua totale dedizione ai giovani, - ha detto il Rettor Maggiore introducendo l’omelia – quest’anno siamo invitati a contemplarlo come educatore e quindi ad approfondire, aggiornare ed inculturare il suo Sistema Preventivo”. L’omelia è proseguita in prima persona, con le parole di Don Bosco.

Don Bosco ha parlato della sua esperienza educativa fondata sulla “gioia vera, quella che nasce nel cuore di chi si lascia guidare dal Signore”. Una gioia lontana dal peccato, che “nasce dalla pace del cuore”; un gioia fiduciosa nella Provvidenza di Dio: “Era una delle tante lezioni di vita che avevo imparato da mia madre”.

Vengono sottolineate alcune caratteristiche dell’azione di Don Bosco:

  • la gioia dell’incontro con i ragazzi: “Li aspettavo i miei ragazzi la domenica mattina a Valdocco; era per me una festa!”;
  • la testimonianza del suo sacerdozio mediante l’educazione: “sono divenuto educatore dei giovani perché ero prete per loro”;
  • la creatività finalizzata al bene dei ragazzi: “Uno solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità”.

Nell’esperienza di Don Bosco la gioia e l’allegria sono divenute cammino di santità e clima di famiglia condivise con i ragazzi. Il riferimento è ai due giovani Domenico Savio e Francesco Besucco dei quali Don Bosco scrisse le biografie. Un’allegria che, coniugata con l’impegno (studio) e la religione (pietà), costruisce l’ambiente educativo e non distoglie dalla realtà: “Quando iniziai a Valdocco, avevo un sogno nel cuore: creare un clima di famiglia per tanti giovani che erano lontani da casa per lavoro o che forse non avevano mai assaporato un gesto di vero affetto. La gioia aiutava a creare questo ambiente. Faceva superare le tante strettezze della povertà e ridonava serenità a tanti cuori”. Per Don Bosco la gioia, fondata nel Cristo, “era una cosa tremendamente seria!” e voleva che i suoi ragazzi lo sapessero. In questa prospettiva il cortile, le feste, il teatro, la musica, il canto, le passeggiate autunnali hanno un’importanza rilevante e fanno dell’educatore un insegnante e un allievo.

La finalità de “Il Giovane Provveduto”, libro di formazione cristiana stampato nel 1847, era espressa nelle prime pagine: “servire al Signore e stare allegri”. La gioia di Don Bosco non era incoscienza o superficialità, sfociava nell’ottimismo, nella fiducia amorosa e filiale in un Dio provvidente. “Non mi accontentavo che i giovani fossero allegri; volevo che essi diffondessero intorno a sé questo clima di festa, di entusiasmo, di amore alla vita, Li volevo costruttori di speranza e di gioia. Missionari di altri giovani mediante l’apostolato dell’allegria. Un apostolato contagiante”.

Il testo integrale dell’omelia è disponibile in questa lingua in sdb.org

Pubblicato il 16/08/2012

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