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21/10/2014 - Sierra Leone - “Speriamo che con l’aiuto internazionale potremo vincere la battaglia contro l’epidemia”
Foto dell'articolo -SIERRA LEONE – “SPERIAMO CHE CON L’AIUTO INTERNAZIONALE POTREMO VINCERE LA BATTAGLIA CONTRO L’EPIDEMIA”

(ANS – Freetown) – La Sierra Leone è uno dei tre paesi dell’Africa occidentale in cui l’Ebola infuria più gravemente. Il salesiano coadiutore Lothar Wagner lavora nella capitale Freetown, come direttore dell’organizzazione Don Bosco Fambul e ogni giorno vede in prima persona gli orrori di cui la malattia è responsabile. Pubblichiamo di seguito la prima parte dell’intervista da lui rilasciata alla Rivista “Politico”.

Sig. Lothar, come sta vivendo l’attuale situazione della Sierra Leone?

Per quanto riguarda l’aiuto politico internazionale, è frustrante. Avremmo potuto evitare questo calvario se l’Occidente avesse reagito presto e in modo adeguato. Fino ad ora nel paese ci sono solo medici ed esperti epidemici dalla Cina e da Cuba, che almeno ci danno molta speranza. La gente è scioccata e semplicemente spaventata. Gli ammalati e i casi sospetti vengono stigmatizzati.

Come è evoluta la situazione negli ultimi mesi?

All’inizio è stata incautamente sottovalutata, poi imperdonabilmente ignorata. C’erano riti di stregoneria tradizionale e accuse di natura politica. Tutto questo sta ora portando ad uno scoraggiamento depressivo che si abbatte sulla popolazione. Ora speriamo che con l’aiuto internazionale potremo vincere la battaglia contro l’epidemia, così da poter dare un nuovo inizio.

Qual è in generale lo stato d’animo del paese?

Dipende dal posto. Sono appena tornato da Port Loko dove ho visitato un orfanotrofio. È stato messo in quarantena a causa del fatto che il responsabile è stato al funerale di una vittima dell’Ebola. 39 bambini e lavoratori sono lasciati a se stessi. In particolare nelle zone rurali prevalgono la stigmatizzazione, la paura e una forte credenza nella stregoneria. La gente crede che le persone malate vengano puniti per delle loro cattive azioni. Nella capitale Freetown la popolazione è meglio informata sull’epidemia. Tuttavia la paura prevale anche qui - dentro e intorno alla città tutti sono particolarmente in allerta. “Nessun contatto corporeo!” è un grido che si sente spesso per le strade.

Chi sta soffrendo di più per l’epidemia?

In primo luogo, i malati stessi, naturalmente. Poi, però, anche tutti i casi sospetti, le persone che vengono messe in quarantena. Tutto sommato, questi gruppi sono guardati con ostilità da parte della popolazione. Chi è in quarantena riceve poco cibo o altri aiuti importanti. Grazie al nostro servizio di linea telefonica d’ascolto per i minori e ai centri d’accoglienza, noi del Don Bosco Fambul siamo a diretto contatto con i bambini e i giovani e testimoni delle loro difficoltà. Così facendo, stiamo davvero raggiungendo il nostro limite. Quelli che soffrono di più sono i bambini che hanno visto i loro genitori morire e i ragazzi e le ragazze che sono stati infettati e ora sono guariti e vengono emarginati dalle loro famiglie. E poi ci sono, naturalmente, gli stessi aiutanti. Dobbiamo stare estremamente attenti che tutte le misure di sicurezza vengano rispettate, affinché non sperimentano un trauma essi stessi.

Com’è la sua giornata tipo ora?

Particolarmente importante per me è la meditazione di mezz’ora la mattina – Dio e io da soli. È qualcosa di molto intenso e mi dà la forza per l'intera giornata. Ho messo tutto sotto la protezione di Maria, l’Aiuto dei Cristiani. Questo non è romanticismo sociale, ma aiuto concreto e salvezza in questi tempi difficili. Molte preghiere veloci durante il giorno spesso sostituiscono la Liturgia delle Ore. Inoltre, sono responsabile di tutte le misure di sicurezza nelle nostre case, dei contatti con il governo e i nostri partner e la gestione dei progetti. Infine, l’intervento in situazione di crisi fa parte dei miei doveri quotidiani.

Pubblicato il 21/10/2014

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