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18/9/2014 - Zambia - La crisi dell’Ebola e la carità che “non finisce mai”
Foto dell'articolo -ZAMBIA – LA CRISI DELL’EBOLA E LA CARITÀ CHE “NON FINISCE MAI”

(ANS – Lusaka) – Don Silvio Roggia, Vicario dell’Ispettoria Africa Occidentale Anglofona, attualmente a Lusaka, Zambia, condivide con i lettori di ANS una riflessione sull’Ebola, la sua diffusione e come affrontare l’emergenza.

Negli aeroporti da cui son passato era impossibile non imbattersi in un denominatore comune: l’Ebola. Cartelli, controlli specifici a tutti quelli che arrivano dall’Africa Occidentale, disinfettarsi le mani prima di esibire i documenti...  Se il virus non è presente nella maggior parte dei paesi, di sicuro lo è il timore che arrivi. 

Recentemente l’on. Maite Nkoana-Mashabane, Ministro degli Esteri del Sudafrica, che in questo momento è presidente di turno dell’ Unione dei Paesi Africani, ha invitato i governi a unire insieme la massima prudenza con la massima cooperazione. Equilibrio difficile: la tendenza a barricarsi in casa e tirare su i ponti levatoi anche a livello internazionale risponde all’imperativo di non entrare in alcun modo nella lista dei paesi colpiti, fosse anche per una sola persona infetta dal virus sul loro territorio.

Ma se questo significa isolare completamente chi già si trova in estrema difficoltà per un’emergenza difficilissima da gestire per qualunque nazione, il rischio è che paesi come Liberia, Sierra Leone e Guinea affondino in una spirale di crisi generale, economica, sociale e politica, fino allo sfacelo. E se questo accadesse tutti ci perdono. Tutta l’Africa. Tutto il mondo. Il virus non ha bisogno di esibire il passaporto per passare da un confine all’altro e se la situazione generale diventa incontrollabile non ci sono più frontiere che tengano.

Quando ci si barrica sulla difensiva e si diventa indifferenti al vicino che muore l’effetto boomerang non tarda a farsi sentire. È sempre stato così. La differenza è che in questa crisi le conseguenze di un “non intervento” sarebbero molto più pesanti e generali di quello che altre crisi hanno causato in passato.

Da Monrovia Josephat, il leader del gruppo “Dominic Savio & Don Bosco”, fa sapere che attualmente la situazione è tale che governo e FIFA stanno pensando di usare uno degli stadi come centro di isolamento per i pazienti colpiti, dal momento che non c’è più posto negli ospedali. Hanno bisogno di preparare almeno 1000 posti letto”.

Sembra che l’ONU prenderà responsabilità diretta della gestione dell’emergenza sanitaria a Monrovia, come anche sta riattivando alcuni collegamenti con i suoi aerei tra la capitale Monrovia e i paesi vicini (le altre compagnie hanno interrotto i voli). Questo è senz’altro un segnale positivo. Come lo è il fatto che se c’è assistenza sanitaria adeguata fin dai primi sintomi della malattia e buona alimentazione la possibilità di guarire dal virus può arrivare fino al 50% (contro il 90% di “fatalità” che si registrava agli inizi).

Quanto stanno facendo Josephat e il suo gruppo, don Rapahel, i suoi confratelli e giovani a Matadi-Monrovia; don Paul e gli altri salesiani a Freetown; quanto fa chi è in prima linea in quegli ospedali: tutto ciò ha un valore immenso ed è una carità che “non finisce mai”. Qualunque cosa si fa per questo fratello o sorella, rimane per sempre.

Pubblicato il 18/09/2014

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