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23/7/2014 - Repubblica Centrafricana - La sicurezza della popolazione continua ad essere la preoccupazione dei Salesiani
Foto dell'articolo -REPUBBLICA CENTRAFRICANA – LA SICUREZZA DELLA POPOLAZIONE CONTINUA AD ESSERE LA PREOCCUPAZIONE DEI SALESIANI

(ANS – Bangui)– La Repubblica Centrafricana continua ad essere bloccata nel caos amministrativo, legislativo e sociale. La prossima settimana saranno 16 mesi dal colpo di stato compiuto dalla coalizione Séléka, e il conflitto, lungi dall’essere risolto, peggiora. I missionari salesiani affermano che “il paese non esiste, non c’è legge e non funziona niente”. Di fronte ai problemi quotidiani, i Salesiani nella capitale, Bangui, hanno una sola preoccupazione: “continuare ad occuparci della popolazione che si rifugia nelle nostre strutture” – come riportano in un’intervista a cura della Procura Missionaria Salesiana di Madrid.

Negli umili quartieri di Damala e Galabadja, a Bangui, centinaia di persone da 7 mesi rimangono sotto la protezione offerta dai salesiani nelle loro 2 opere. La maggior parte degli sfollati sono donne e bambini sfuggiti alla violenza che divampò nella capitale lo scorso 5 Dicembre.

Senza sapere a chi ricorrere, con un esercito allo sbando e intrappolati tra il fuoco incrociato di due brutali gruppi armati, i Séléka e gli Anti-balaka, molte persone hanno trovato rifugio presso le strutture religiose. “Fino ad allora non avevamo accolto nessuno perché erano terrorizzati nelle loro case”, racconta don Agustín Cuevas, SDB, missionario da 42 anni in Africa, parroco a Galabadja.

I Salesiani della comunità di Galabadja, che da anni si sforzano di costruire una piccola oasi di servizi in questo quartiere di periferia, con una scuola e un dispensario medico, si sono visti obbligati ad aprire le loro porte e ad accogliere la popolazione sfollata. “Facciamo da genitori, giudici, medici e persino guardie, per fornire assistenza umanitaria alla popolazione”, afferma don Cuevas.

Gli sfollati nella presenza salesiana non stavano da soli. Negli edifici e nei cortili del complesso di Galabadja sono entrate fino a 22.000 persone, che dormivano ammassate anche “sui banchi e sul pavimento della chiesa”, mentre fuori il rumore degli spari e delle granate e dei colpi di mortaio non cessava.

Oggi sono rimaste poche centinaia di persone, provenienti dalle province e dai distretti che più hanno sofferto. “Il nostro impegno continua ad essere quello di dare loro sicurezza e spingerli verso il ritorno alla normalità della vita”, dice don Cuevas.

Pubblicato il 23/07/2014

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