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6/12/2013 - RMG - Intervista a Don Pascual Chávez, nel 40° anniversario della sua ordinazione
Foto dell'articolo -RMG – INTERVISTA A DON PASCUAL CHÁVEZ, NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA SUA ORDINAZIONE

(ANS – Roma) – L’8 Dicembre 1973 a Guadalajara un giovane don Pascual Chávez riceveva l’ordinazione sacerdotale. A 40 anni di distanza gli abbiamo chiesto di condividere con noi alcune le riflessioni e le esperienze maturate in questo tempo.

Ci racconti la sua chiamata alla vita salesiana: la storia vocazionale e le figure significative che l’hanno accompagnata.

Tra le figure fondamentali c’è in primo luogo mia mamma. Due giorni prima che morisse, già molto malata, stavamo chiacchierando e mi confidò che aveva sempre invocato da Dio un figlio sacerdote ;e io, più che altro perché le avevo appena chiesto di comprarmi un paio di scarpe nuove, le dissi: “Mamma, sono io quel figlio prete che tu hai chiesto”. Per questo ho sempre detto che mia madre, oltre alle scarpe, mi diede anche il dono più prezioso dopo la vita: la vocazione.

Anche mia sorella maggiore e mio padre poi sono stati importanti, perché fu a loro che si rivolse il Direttore della mia scuola quando confidai la mia intenzione. Successivamente ricordo tanti salesiani che mi hanno accompagnato nella formazione iniziale e poi fino ai Rettori Maggiori che mi hanno dato i primi incarichi di responsabilità. L’elenco è lunghissimo e rischierei di lasciare fuori qualcuno, dato che sono state tante le persone buone che hanno scandito la mia vita.

 Quali sono state le rose e quali le spine di questi 40 anni di sacerdozio?

La principale rosa è stata proprio la grazia del sacerdozio, del sacerdozio salesiano. È una grazia immeritata, ma sentire di ricevere su di sé il suo comando  “Fate questo in memoria di me” e poter fare dell’Eucaristia il centro della propria vita… credo di non aver mai saltato la messa quotidiana, neanche durante i lunghi viaggi.

Così ritengo delle rose tutti i sacramenti, poter essere amministratore della grazia di Dio e perciò portare Dio agli altri.

Altre rose sono state gli incarichi che mi sono stati dati, come Direttore del Teologato, poi Consigliere Regionale e alla fine come Rettor Maggiore, perché sono un onore e ti permettono di dare degli orientamenti alle istituzioni che ti sono affidate.

Le spine più dolorose, invece, vengono da me stesso, da quelle volte in cui ho mancato di coerenza. Ho sempre ricordato un passo che lessi nel prepararmi all’ordinazione: “Credi ciò che celebri, celebri ciò che vivi, vivi ciò che credi”. Quando non c’è piena unità tra queste cose, ci sono le spine. Così questi 40 anni sono anche un’occasione per chiedere perdono a Dio.

Infine, conto tra le spine anche quelle circostanze in cui, per i miei incarichi ho dovuto trattare quei casi in cui si aveva a che fare con la povertà umana, psicologica, spirituale di alcuni, dove le circostanze esigevano delle risposte, anche se sempre unite alla misericordia.

Cosa l’ha aiutato maggiormente a vivere con fedeltà la vocazione salesiana e il ministero sacerdotale?

Sicuramente l’esempio di tanti confratelli, soprattutto dei missionari, che definisco la “gemma della corona della Congregazione”. Ho conosciuto delle esperienze, in condizione di vita al limite, in cui ho riconosciuto in quelle persone dei “santi” a cui manca giusto la certificazione del miracolo. Anche qui, potrei fare molti nomi, ma non vorrei dimenticare nessuno.

Ci sono anche le Costituzioni. Mi sono state fondamentali durante gli incarichi di governo, perché mi hanno dato dei criteri guida, una forma mentis per il mio ruolo, per interpretare il più fedelmente possibile Don Bosco, pur nella mia originalità specifica.

Ed anche tutti gli anniversari e le ricorrenze salesiane che servono a ridare dinamismo alla propria vita spirituale, a ritornare alla radice.

Qual è stato il valore aggiunto dalla sua consacrazione salesiana e dalla presenza di Maria al suo ministero sacerdotale?

Il primo valore aggiunto è sempre la figura di Don Bosco. Più la conosci, più la apprezzi e più ti attrae, soprattutto per le sue grandi scelte: è stato rivoluzionario, ha trasformato la Pastorale, ha sviluppato una concezione dell’educazione come metodo per tirare fuori i talenti di ciascuno. Il suo Sistema Preventivo non è un programma solo per rendere felice i giovani, ma si basa sulla fiducia. E la sua validità, ancora oggi, è attestata da tante persone in tutto il mondo che, pure se non sono cristiani, si sentono amici di Don Bosco!

Nel caso di Maria, come tutti i messicani, ho una devozione che nasce da quando ero bambino. Ogni volta che torno o parto dal Messico passo sempre per Guadalupe: mi sembra la cosa più normale del mondo andare alla casa della mamma. E ciò mi ha portato a consacrarmi in maniera specifica a Lei e ogni volta che vado in un Santuario rinnovo questa consacrazione.

Vuole dare un messaggio ai sacerdoti della Congregazione e ai giovani formandi su come vivere oggi da salesiano?

Oggi posso dire di trovarmi con la stessa gioia di 40 anni fa, ma con maggiore ricchezza, umana, spirituale e carismatica. Per questo condiviso alcune riflessioni. In primo luogo penso sia sempre necessario guardare al sacerdozio come dono di Dio che ha un doppio valore: Dio mi chiama e poi mi manda a servire un popolo. Quest’elemento è importante perché aiuta a mantenere l’autenticità.

Voglio ricordare anche che una volta ordinato un sacerdote agisce in persona Christi, cioè Cristo agisce attraverso di lui e lo rende sempre più conforme a Sé. Ricordando la parabola della Vite e dei tralci (Gv 15, 1), il sacerdote deve sapere di essere innestato nella vita di Cristo; non ha scelto lui, è stato scelto. Da questo rapporto nasce la fecondità nell’amore, l’unico frutto che rimane. Alle volte si fraintendono i frutti con le attività, ma quelle possono finire, le opere crollare, come ad Haiti, dove il terremoto ha distrutto in 29 secondi le opere erette in 75 anni. Ma le vite consegnate nell’amore, quelle sono i veri frutti!

Infine, la gioia. La vita sacerdotale è una vita che porta alla gioia. Don Bosco stesso lo diceva che la gioia è l’espressione migliore della fede. Non vuol dire che non ci saranno problemi, ma il centro della nostra fede è la risurrezione, per la quale anche la croce si trasforma nella gioia più grande.

 Pubblicato il 06/12/2013

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