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20/6/2008 - Italia - La parola a chi lavora per i ragazzi di strada
Foto dell'articolo -ITALIA – LA PAROLA A CHI LAVORA PER I RAGAZZI DI STRADA
(ANS – Roma) – “Il football è stato portato ad Haiti dai Salesiani”, è la curiosità che emerge dal racconto di don Attilio Stra, salesiano missionario che opera da diversi anni ad Haiti, giunto a in Italia per partecipare e fare da testimone al “Concerto per i ragazzi di strada” del prossimo 23 giugno a Torino.

Don Stra, fondatore del centro “Lakay”, in una intervista, disponibile sul sito della “Fondazione Don Bosco nel mondo”, ha tracciato una breve storia della presenza salesiana nel paese. Giunti nel 1936 su invito delle autorità di Haiti, i salesiani si dedicarono alle scuole professionali e alle opere dell’oratorio, raccogliendo stima e fiducia per la qualità della educazione offerta. Una esperienza non riuscita, a motivo del progressivo declino dell’agricoltura in Haiti, è stata la scuola agraria.

Affondando le ragioni della attuale situazione socio-economica del paese negli ultimi duecento anni di storia, don Stra ha descritto la rapida e incontrollata concentrazione della popolazione verso le città dove, negli ultimi decenni, sono sorti enormi quartieri di “bidonville”. Qui, dove mancano ogni tipo di infrastrutture, la gente lotta per vivere; l’unica speranza è spesso data dal contributo economico che i parenti emigrati all’estero riescono ad inviare, risorsa che sembra ammontare a un miliardo e mezzo di USD, pari quasi a un terzo del P.I.L.

Questa realtà, l’instabilità delle famiglie e il dilagare della violenza spinge i ragazzi a cercare per strada il luogo in cui vivere: “la strada diventa la loro famiglia, la loro casa, la loro festa, … e spesso la loro morte”. Da quanto affermato da don Stra sembra che nella capitale, Port au Prince, vivano circa dai 3 ai 4 mila ragazzi di strada.

Don Stra, coadiuvato da un altro salesiano e da una cinquantina di laici, segue un percorso ben preciso per accostare e aiutare i ragazzi. La prima tappa è data dall’”amicizia” e si svolge per strada dove si incontrano e si conoscono personalmente i ragazzi, “è principalmente una fase di ascolto, interveniamo solo in casi estremi”, racconta il salesiano missionario. La seconda è data dal “cortile”, un luogo di incontro e di ritrovo dove i ragazzi liberamente si inseriscono lontano dai pericoli: “qui trovano acqua per lavarsi, giochi, attività di alfabetizzazione e, soprattutto delle persone che voglio loro bene, gli educatori, con i quali dialogare”. Dopo aver tentato un reinserimento nelle famiglie di origine, lì dove è opportuno, si giunge alla terza tappa: “lakay”, la casa. Qui i ragazzi vanno a scuola, imparano un mestiere e fanno parte di un gruppo sociale. Ultimo passaggio, infine, è verso la società con la ricerca di un lavoro che possa garantisca una autonomia.

Pubblicato il 20/06/2008

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