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7/8/2014 - Liberia - Don Bosco è vivo in Africa e aiuta i malati di Ebola
Foto dell'articolo -LIBERIA – DON BOSCO È VIVO IN AFRICA E AIUTA I MALATI DI EBOLA

(ANS – Monrovia) – Nel 1854 Torino fu colpita da una epidemia di Colera che decimò la popolazione, soprattutto quella povera della periferia, dove era situato l’Oratorio. Don Bosco coraggiosamente propose ai suoi ragazzi più grandi di mettersi a servizio dei malati, abbandonati a se stessi per paura del contagio, e in molti lo seguirono, restando indenni. Oggi, a Monrovia, capitale della Liberia, 5 giovani, cristiani e mussulmani, hanno dato vita al gruppo “Domenico Savio & Don Bosco”, per seguire le sue orme e aiutare a prevenire il contagio dell’Ebola.

Il virus Ebola è uno tra i virus più aggressivi e pericolosi per l’uomo e finora non è stato trovato un vaccino, né una terapia di sicura efficacia. I casi registratisi recentemente nell’Africa occidentale sono stati oltre 1700 – secondo gli ultimi dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – e hanno causato 932 vittime. A fronte di ciò, la cosa migliore da fare nelle aree affette dal virus è quella di agire per la prevenzione, per evitare che nuove persone entrino in contatto con esso e si ammalino.

È proprio ciò che fanno Josephat e i suoi 4 amici, diversi per credo religioso, ma uniti dallo spirito salesiano e dal desiderio di donarsi per la salvezza, e la salute, degli altri, specie dei più bisognosi, i malati, i poveri e gli abbandonati. “Credo che quello che Don Bosco ha fatto ai suoi tempi durante l’epidemia del colera può farlo ancora oggi attraverso di noi” ha spiegato Josephat tramite WhatsApp ad un salesiano in Nigeria.

Il primo problema per Josephat e i suoi quattro giovani volontari è stato convincere un autista a portarli in un villaggio a 3 ore e mezza dalla capitale, dove una famiglia intera di 6 persone è morta a causa del virus. Hanno iniziato da lì. A un prezzo esorbitante per il trasporto sono riusciti a raggiungere quell’area remota.

La loro missione non è di curare, ma di aiutare a prevenire dando quelle istruzioni base che il Ministero della Salute cerca di diffondere, ma che non raggiungono le zone interne dove non c’è elettricità, televisione... e nessuno è  disposto a mettere a repentaglio la propria salute per salvare quella degli altri.

Insieme alla campagna fatta attraverso volantini e poster distribuiti e spiegati, al mercato locale, e casa per casa, il gruppo “Dominic Savio and Don Bosco” distribuisce guanti, maglie dalle maniche lunghe e disinfettanti  a base di cloro, per limitare le possibilità di contatto e contagio.

Il problema più urgente è proprio evitare il contatto con chi giunge alla fase terminale della malattia, e con le salme dei defunti – che sono estremamente contagiosi. Non è facile, per via delle tradizioni, dell’affetto tra congiunti… Inoltre chi vive nei villaggi deve continuare a portare avanti le sue attività – che sono già per lo più di pura sussistenza – andare ala mercato, lavorare… altrimenti in poco tempo si soffre la fame.

Per acquistare disinfettanti, guanti, maglie, trasporti e tutto il necessario, Josephat e i suoi ragazzi fanno come Don Bosco: bussando alle porte di chi ha qualcosa in più; vanno nella capitale per trovare aiuti per la periferia rurale. Ma anche lì la paura sta chiudendo la gente in se stessa. Josephat ha qualche amico in Nigeria che sta dando una mano usando i servizi di trasferimento di denaro e in base a quanto raccolgono organizzano le loro missioni di prevenzione e distribuzione di aiuti.

L’informazione, la prevenzione e l’apertura del cuore restano i tra ambiti su cui lavorare; perché c’è anche il rischio della paura, che fa diventare letale anche ciò che altrimenti non lo sarebbe: i primi sintomi dell’Ebola sono quasi identici a quelli della Malaria, una malattia perenne nell’Africa sub sahariana, che, se non è curata è mortale quanto l’Ebola. Così è accaduto che la vicina di casa di Josephat morisse pochi giorni fa di Malaria: aveva trovato tutte le porte chiuse per paura dell’Ebola.

Josephat ha ricevuto anche i ragionevoli inviti ad essere prudente: la percentuale più alta di vittime è proprio tra chi si è preso cura dei malati. Qualcuno gli ha consigliato di tornare in Nigeria. “Mi sembra come un imbroglio verso Dio – ha risposto – Anche se questa fosse l’unica carità che faccio in tutta la mia vita sarei felicissimo di portarla a termine. É Dio che mi ha dato vita e salute: devo usarla per servire”.

Cosa valgono la vita e la salute? Sono la sicurezza e l’isolamento che viene dalla paura ‘assoluti’ a cui tutto il resto va sacrificato?

Il 16 Agosto 2014 si apre il Bicentenario della sua nascita: Josephat e i suoi amici stanno dimostrando quanto Don Bosco sia diventato africano.

Pubblicato il 07/08/2014

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