Intervista mons. Rosario Vella Domanda: Siamo con mons. Rosario Vella, nuovo vescovo della diocesi di Ambanja. Monsignoire, innanzi tutto, ci piacerebbe ascoltare, conoscere quali sono i suoi sentimenti alla vigilia della sua ordinazione episcopale? Mons. Vella: Per me l'ordinazione episcopale è stata veramente una cosa inaspettata; ma in questo momento sento tre cose. Primo: una grande lode al Signore che ha condotto la mia vita, non l'ho pensata io questa vita, è stato il Signore che l'ha guidata con la sua mano piena di misericordia e con la presenza della Vergine Maria. Secondo: una piccolezza nei confronti di tutto ciò che mi aspetta. Capisco bene che essere vescovo vuol dire avere un cuore grande che abbraccia tutta la diocesi, tutta la gente, ma abbraccia tutta la Chiesa e tutto il mondo. E poi, terzo, sento in questo momento come il bisogno di appoggiarmi a tante persone che mi vogliono bene: tutti i miei cari, tutti gli amici con i quali ho vissuto una parte della vita, il popolo di Dio, i confratelli, ... insomma, tutti! Perché sento che non è solo una ordinazione che è per me, ma come un servizio che dobbiamo rendere insieme. Domanda; Lei è missionario in Madagascar ormai da 26 anni. Qual'è il volto dei ragazzi e di Don Bosco in questa grande isola del continente africano? Mons. Vella: In breve, forse, potremmo definirlo così: i ragazzi, i giovani in Madagascar sono tutto, però sono anche niente. Sono tutto perché il 60% è giovane. Sono loro che riempiono le strade, le scuole, le città, la campagna; sono loro che rendono la vita più bella. Ma se guardiamo in fondo diciamo che sono niente perché contano poco, solo pochi si occupano di loro, non hanno un futuro, non avranno, molti di loro un lavoro che potranno scegliere, ma, forse, un lavoro che dovranno accettare o sopportare. Sono in balia delle onde, della tempesta della vita; se vorranno formarsi una famiglia avranno tante e tante difficoltà. Quindi hanno bisogno di tanti sostegni: hanno bisogno di pane, di studio, di conoscenza, di lavoro, di gioco, di preghiera, di amicizia, di affetto. Evidentemente loro hanno nel cuore il desiderio di avere questo sostegno e credo che i salesiani di Don Bosco e anch'io, come vescovo, potrei e dobbiamo fare qualche cosa per loro. Domanda: Secondo la tradizione nel motto e nello stemma è racchiuso il programma che si sceglie per il proprio episcopato. Ci può descrivere e commentare il motto che ha scelto? Mons. Vella: La prima volta che mi hanno detto che avrei dovuto pensare ad uno stemma, qualche settimana fa, sono stato un po' perplesso, quasi ridevo, oppure ho pensato che fosse qualcosa legato al passato, di medioevale... ho cercato di far rivivere questi aspetti della storia passata in una storia attuale e, allora, anche io ho scelto un motto e uno stemma. Il motto che ho scelto è "croce unica speranza". Noi viviamo in un tempo di mondializzazione, in un mondo in cui tutti parlano di ciò che avviene: e ciò che avviene intorno è arrivismo, denaro, fame, sopraffazione, potere, denaro, morte e così via... Sono parole che pochi hanno il coraggio di dire o che nessuno riesce a dire. Una di queste parole è speranza! Siamo un po' tutti come abbattuti ed invece la speranza dovrebbe essere il motore della nostra storia, ed è il motore della storia. Una speranza deve avere un fondamento e il fondamento è nella croce,perché è nella croce che noi siamo stati salvati, redenti ed è nella croce che noi troviamo il più grande amore che ci è stato donato ed è anche il più grande amore che noi possiamo donare. Quindi queste due parole: speranza e croce mi sembra che debbano essere le parole che devono orientare tutta la mia vita. Negli stemmi si mettono anche le proprie origini. Qualcuno, magari, metteva il proprio casato, famiglia o nobiltà, e io ho voluto mettere quelle che sono le miei origini. Da una parte la Famiglia Salesiana, quindi l'ancora che Don Bosco aveva scelto, perchè dobbiamo essere tutti ancorati al Signore Dio. E poi la terra dove il Signore mi ha fatto nascere, non sono stato io che l'ho scelta, ma mi è stata come donata, e la mia terra è la Sicilia. La Sicilia che ho voluto rappresentare con il monte Etna, con un vulcano, quindi quei monti e quel fuoco che dovrebbero essere l'innalzarsi verso Dio e anche portare un fuoco, avere un desiderio che si accende in tutte le parti del mondo. Poi, sempre sulla sinistra dello stemma, ho voluto mettere la stella a sette punte perché è l'immagine, almeno nell'araldica, della Vergine Maria che precede l'aurora. È lei che ha preceduto Gesù ed è lei che illumina la nostra vita. Nello stesso tempo, però, anche noi dobbiamo rispondere; e ho voluto rispondere con l'immagine del rosario sia perché rappresenta il mio nome, sia perché tutti noi potremmo essere come tanti piccoli grani, piccole Ave Maria, intorno alla vergine Maria. Poi ancora ho messo una piroga, una piroga con il bilanciere, che è uno dei segni del Madagascar e sono state anche due zone dove ho lavorato per tanto tempo, al sud e poi al nord del Madagascar, dove si usa questa piroga con il bilanciere. E, Infine, sopra ci sono tre garofani rossi che sono orientati alla croce e la croce che è adornata da cinque gemme che sono le cinque piaghe che sono le cinque piaghe del Signore Gesù in croce. Perché i garofani? Avrei potuto scegliere tanti fiori, ma questi mi sono sembrati adatti un po' alla mia vita. I garofani non sono fiori pregiati, nobili, come potrebbe essere una orchidea o anche una rosa, ma sono fiori comuni, li potremmo anche definire fiori di prato, di tanti colori che si mescolano facilmente, che crescono facilmente... ecco è un po' la mia, la vita di ognuno di noi che è una vita semplice, umile che però deve essere sempre una vita sempre orientata verso la croce del Signore, unica nostra speranza. Domanda: Sicuramente la persona più indicata, più autorizzata a parlare di una diocesi è proprio il vescovo di quella diocesi. Ci potrebbe parlare della sua diocesi, della diocesi di Ambanja: com'è il volto della Chiesa in questo luogo. Mons. Vella: Io ho lavorato già tre anni in questa diocesi, ma in un distretto missionario abbastanza grande, Bemaneviky. Il mio sguardo si deve allargare ad una zona molto più grande; è una diocesi molto grande, 34mila kmq di superficie, per avere una idea potremmo dire una volta e mezzo la Sicilia; con una popolazione di 1.300.000 abitanti dispersi in questa grande zona; con circa 110mila cattolici, con una piccola presenza di protestati o di altre religioni cristiane e poi anche una piccola presenza di mussulmani. Il lavoro che mi attende è tanto perché bisogna girare dappertutto e andare a trovare la gente che si trova dispersa in questa grande zona. E poi, penso, che non sono solo il vescovo dei cattolici perché Dio Padre non è solo padre dei cattolici, ma di tutti. Gesù è venuto a salvare non solo i cattolici, ma è venuto a salvare tutti. Io, quindi, metto davanti non tanto i cattolici ma quanto le persone che ci vivono. Le persone che vino in questa diocesi vivono di agricoltura e di pesa soprattutto, c'è anche una piccola fascia che vive di turismo o di piccolo artigianato, ma in genere l'agricoltura e la pesca fatta con mezzi tradizionali, per non dire ancestrali! È un paese ricco di risorse, c'è il caffé, il cacao, la vaniglia, il riso evidentemente, e tante altre cose. Un paese poco sfruttato e povero, tanto povero in infrastrutture, sono poche le scuole, molto poche le strade, i ponti, le dighe e tutto ciò che potrebbe rendere la vita un po' più vivibile. Anche perché la nostra zona è una zona soggetta a intemperie varie e, soprattutto, a cicloni o delle gravi inondazioni. Quindi praticamente la gente ogni anno, ogni anno, soprattutto dal periodo di gennaio ad aprile, vive in una situazione di timore per ciò che potrebbe capitare, sono calamità naturali che capitano in questa zona dalla quel la gente deve riemergere dopo la situazione di emergenza. Domanda: Nel ringraziarla per questa intervista sulla sua diocesi, sui suoi sentimenti, vorrei farle ancora una domanda. Cosa cambierà nella sua vita con l'ordinazione episcopale? Mons. Vella: Penso che tante cose cambieranno nella mia vita dopo il 16 dicembre. Tutta la mia vita deve essere orientata a Dio, al suo amore e alla sua croce; è Lui che mi ha scelto, ma sono anche io che ho risposto. Poi devo essere un fratello per tutti gli altri sacerdoti, perché non si può pensare a un vescovo separato dai sacerdoti. E, infine, devo essere un padre che accoglie nel suo cuore tutti i suoi figli, un padre che va alla ricerca, va incontro ai suoi figli, ma soprattutto di quelli che sono più lontani, più poveri e più poveri e più abbandonati