Intervista Comino Domanda: Sig. Comino, lei vive in Sudan ormai da diverso tempo. Di cosa si occupa, e quanti sono i salesiani che come lei operano in quelle terre cosi martoriate? Comino: Innanzitutto permetti che dica un grazie. Mi sono fatto proposito di mai rifiutare quando ho occasione di parlare sul Sudan, perché vorrei essere il portavoce di migliaia e migliaia di perone che soffrono e non hanno l'occasione di dire e di esprimere quello che sentono e che passano nella loro vita. In Sudan mi trovo da 15 anni, seguo, praticamente, dal punto di vista finanziario le cinque opere salesiane che abbiamo al nord e al sud. Sarai al corrente che il Sudan è, praticamente, due nazioni in una: abbiamo il nord, unicamente mussulmano, e il sud che è... africano, la maggioranza sono cristiani. Al nord abbiamo un centro tecnico dove soprattutto ci prendiamo cura soprattutto dei ragazzi che provengono dai campi profughi. A Khartoum abbiamo quattro grossi campi profughi. I profughi nel nord del Sudan sono circa 4 milioni, è tutta gente che è scappata in 20 anni di guerra verso il nord, per fuggire appunto alla guerra. Una guerra che ha falciato ben due milioni di vite e ha creato ben 4 milioni di gente nei campi profughi. Quindi io mi occupo della parte finanziaria nel nord e nel sud delle opere salesiane. Domanda: Negli ultimi mesi i media hanno dedicato sempre più spazio alla difficile situazione che si vive in Darfur. Le notizie però avolte possono essere ripetitive e non esaustive. Potrebbe dirci, ad oggi, qual è la reale situazione in questa parte del Sudan? Comino: Negli scorsi anni sono stato diverse volte in Darfur e posso dire che la situazione in Darfur, da quando è cominciata la tragedia, ... chiamiamolo pure il "genocidio del Darfur", tre anni fa, non è cambiata assolutamente. Le Nazioni Unite hanno trovato diverse maniere per venire a una soluzione, ma non ci sono riusciti. E quindi è una tragedia che va, oggi giorno, avanti e questa realtà si va ripetendo senza una soluzione visibile. Pensa in tre anni ben 300.000 morti e 2 milioni di sfollati. Gente che ha dovuto lasciare la propria casa, i propri campi, gli animali, tutto quel che possedeva e scappare all'impazzata in cerca di un rifugio proprio perché i cosiddetti "giangiavì", che sono dei predoni assoldati che distruggono, bruciano le capanne e fanno dei disastri ovunque loro arrivano. Domanda: Quali sono le difficoltà che incontrate come Salesiani? Il governo sudanese vi è di aiuto in qualche modo? C'è collaborazione tra voi e le altre forze umanitarie che operano nello stesso territorio? Comino: Parlare di cooperazione con il governo... preferisco essere prudente e dire che cerchiamo di sopravvivere come presenza cattolica. Però con le altre organizzazioni cerchiamo veramente di aiutarci a vicenda, soprattutto nei riguardi del Darfur. Noi riceviamo tanti aiuti, soprattutto attraverso la Fondazione Don Bosco, attraverso il VIS, attraverso il programma di adozioni a Milano di don Lorini e altre organizzazioni e procure missionarie. E non solo cerchiamo di aiutare i ragazzi del Darfur che noi stessi abbiamo portato alla vicina scuola di El Obeid, ma cerchiamo di cooperare soprattutto con il vescovo che è il responsabile delle diverse opere cattoliche nel Darfur. Ci sono tantissimi rifugiati che vivono, diciamo, alla giornata, manca il vitto per un giorno e i bambini, soprattutto i più deboli periscono. Domanda: Ci può dire brevemente quali sono i progetti che i salesiani stanno portando avanti nella terra del Sudan? Comino: Negli scorsi anni... abbiamo cercato di aiutare 200 ragazzi provenienti dal Darfur. Quest'anno, proprio in risposta alla strenna abbiamo detto: "facciamo uno sforzo" e ne abbiamo presi 400. devo dire che abbiamo iniziato questo programma di aiuti per 400 ragazzi senza avere gli aiuti materiali necessari, ma fatto il primo passo abbiamo visto, proprio con i nostri occhi, l'intervento quasi visibile, tangibile della provvidenza. Quindi, vorrei dire che se con coraggio facciamo fronte alle situazioni di emergenza, il problema finanziario è secondario, perché la provvidenza si fa presente. Mentre nel sud del Sudan per noi salesiani negli ultimi 10 anni era impossibile andare al sud, proprio per la guerra. Dopo il trattato di pace, il Darfur è diventato una zona libera ed è il momento più propizio per noi per raggiungere e salvare i giovani, i bambini. Il 60% della gente sono ragazzi e bambini. O interveniamo oggi o perderemo questa occasione! Domanda: Ha parlato dei progetti che i salesiani stanno realizzando nel Sudan, sia a nord che nel sud del paese. Ecco, come riuscite ad ottenere i contributi economici che occorrono per realizzare, per mettere in atto, tali progetti. Comino: Ho accennato prima che nella Famiglia Salesiana ci sono diverse organizzazioni che ci sostengono. Una appunto, è la Fondazione Don Bosco nel Mondo; poi ci sono le diverse procure salesiane in Europa, c'è il programma di adozioni di Milano di don Lorini, c'è l'organizzazione di volontariato del VIS. Sono tutti mezzi con i quali noi veniamo incontro ai bisogni della gente. Noi, per quanto riguarda il Darfur, abbiamo dei contatti con le autorità locali, i quali scelgono i ragazzi da mandare a noi. Questi ragazzi vengono a noi, stanno un anno, un anno e mezzo e passano, per così dire, un anno di pace, perché dopo aver visto e vissuto le tragedie più inumane in Darfur, almeno da noi hanno un posto per dormire, il cibo assicurato, le cure mediche e la possibilità di imparare un mestiere base con il quale, ritornando in Darfur, aiuteranno a ricostruire quello che è stato distrutto. Domanda: Sig. Comino, ci può raccontare in che modo la gente che ha bisogno in Sudan viene a incontrare i salesiani? Comino: Diciamo così... nel nord a Khartoum, dove ci sono quattro grossi campi profughi noi veniamo a contatto con i ragazzi bisognosi, che hanno bisogno di un aiuto, attraverso le parrocchie. Ogni anno, attraverso le parrocchie che ci sono nei campi profughi raccogliamo i ragazzi che possono venire alla nostra scuola Don Bosco. Mentre nel Darfur abbiamo dei contatti proprio con le autorità locali, sono dei sceicchi, sono dei mussulmani che rappresentano i responsabili di diverse zone ai quali noi ci rivogliamo dicendo se ci sono ragazzi, non interessa di quale religione, che vogliono venire a El Obeid per imparare un mestiere. Pensa che l'anno scorso abbiamo deciso di scegliere 200 ragazzi e nella capitale del Darfur si sono radunati ben 1200 ragazzi, è dovuta intervenire la polizia per aiutarci a scegliere, attraverso, una intervista, attraverso un incontro personale per poter scegliere questi 200 ragazzi. Domanda: Sig. Comino, lei è un salesiano e da anni lavori con i ragazzi. Ci può dire brevemente quali sono gli elementi che ritrova nei ragazzi del Sudan e nei ragazzi italiani, elementi in comune, ma anche le differenze e, soprattutto, quali sono le caratteristiche dei ragazzi del Sudan rispetto a quelli che Don Bosco incontrava per le strade di Torino. Comino: Una cosa che mi impressiona sempre, è il senso della solidarietà e della condivisione, fin dai bambini! Se tu dai un pezzo di cioccolata a un bambino non lo vedrai mai mangiarselo da solo, sempre lo condividerà con gli altri bambini. Un altro esempio molto pratico è la colazione che diamo ai nostri ragazzi a scuola. Diamo loro una scodella di fagioli e tre pezzi di pane. Molti di loro un pezzo se lo conservano per la cena, altrimenti si radunano in un gruppo di quattro o cinque, spezzano il pane assieme, mescolano i fagioli insieme a mangiano sempre la colazione assieme. Mai che vedrai un ragazzo che mangia da solo. Hanno proprio il senso della solidarietà e della comunione. E mi sono chiesto il perché. Perché uno più è povero e più ha bisogno dell'altro; "oggi io ho bisogno di te, domani tu avrai bisogno di me" ed è questo che mi ha impressionato.